Querida Amazonia e il sogno di una Chiesa missionaria /2

Il secondo sogno: un’identità culturale che custodisce le proprie radici e si arricchisce nel dialogo

Speranza, sogno, invito e sfida all’azione per tutta la Chiesa. L’immagine del sogno era già stata impiegata da papa Francesco nella sua prima esortazione: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa» (EG 27). Il sogno è uno sguardo sulla realtà così come appare, con aspirazioni e desideri che nascono dalla fede e dall’amore. «Querida Amazonia» si rivela un documento profetico, non solo per le denunce alle violazione dei diritti umani, del problema dell’ambiente e di quelli sociali e culturali, ma mette in rilievo ugualmente la dimensione ecclesiale e missionaria indicando nuovi cammini alla Chiesa e alle istituzioni, invitati a «uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico» (LS, 111).

«Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana» (QA, 7). Il secondo capitolo di «Querida Amazonia è dedicato al sogno culturale. Papa Francesco chiarisce subito che «promuovere l’Amazzonia» non significa «colonizzarla culturalmente, ma fare in modo che essa stessa tragga da sé il meglio», valorizzando le sue proprie identità culturali e le ricchezze uniche di ogni popolo, nella varietà multiculturale che le caratterizza. Come questi popoli, così anche i nostri popoli e le nostre società. La ricchezza di questi popoli è anche la nostra, e viceversa. La diversità ci arricchisce e rende varia la nostra umanità. Per questo, diventa necessario custodire le proprie radici e questo non è semplice in quanto «la visione consumistica, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro per l’umanità» (QA 33). Soprattutto ai giovani il papa chiede di «farsi carico delle proprie radici, perché dalle radici viene la forza che vi fa crescere, fiorire, fruttificare… conoscerle è una fonte di gioia e di speranza che ispira azioni coraggiose e nobili». Inoltre, è importante che la cultura si ponga in dialogo con altre culture, si apra allo scambio e al confronto intorno alla verità e ai valori, alle sfide e alle problematiche dell’umanità; il chiudersi in sé stessi provoca sterilità e isolamento. Oggi più che mai, e il processo è irreversibile, viviamo in un mondo interculturale, anche nei nostri piccoli paesi. Attraverso le culture Dio si manifesta, riflette qualcosa della sua grande bellezza. Quanta ricchezza nei popoli della terra, quanta varietà e quanta saggezza. Gli incontri interculturali sono occasioni per approfondire e arricchire l’identità di ciascuno; vanno custoditi i legami familiari e sociali che rischiano di perdersi con le migrazioni e «l’invasione colonizzatrice dei mezzi di comunicazione di massa». «A partire dalle nostre radici ci sediamo alla tavola comune, luogo di conversazione e di speranze condivise. In questo modo la diversità, che può essere una bandiera o una frontiera, si trasforma in un ponte». L’annuncio di Gesù Cristo si realizza in una determinata cultura, e l’aiuta a far emergere i valori più importanti e peculiari di quella cultura. L’ascolto delle culture è, infine,  il punto di partenza per l’incontro con la novità del Vangelo, che mediante lo Spirito assume, purifica ed eleva ciò che il Verbo «la luce che illumina ogni uomo» (Gv 1,9) ha seminato nei nostri cuori e nelle culture dei popoli. «Si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città. Non bisogna dimenticare che la città è un ambito multiculturale… qui la Chiesa è chiamata a porsi al servizio» (EG 74). La messe è molta, ed è sempre più numerosa: ma noi cosa vediamo? Notiamo solo la scarsità di operai del Vangelo, di chiese deserte, o il nostro sguardo può abbracciare altri orizzonti e luoghi dove l’umanità vive, nuovi luoghi di incontro dove confrontarsi con uomini e donne, culture e differenze: sono i nostri nuovi vasti campi di missione da percorrere! Per noi Missionari OMI e per quanti vivono alla luce del carisma di Sant’Eugenio «con i poveri e con gli emarginati, ci lasceremo evangelizzare da loro, poiché spesso ci fanno capire in maniera nuova il Vangelo che annunciamo. Attenti alla mentalità della gente, accetteremo di lasciarci arricchire dalla loro cultura e dalle loro tradizioni religiose» (CC/RR OMI – R8a).

Flavio FonNdem