Vite che parlano: Giovanni Mancini

Giovanni Mancini, molisano, è sposato con Cinzia ed è papà di due bambine. È professore presso un grande istituto secondario nella zona di Roma. Appassionato delle missioni, da giovane ha passato un anno in Senegal, dove ci siamo conosciuti.

Giovanni, puoi dirci qualcosa di te?

Il mio nome è Giovanni Mancini, ho 43 anni e sono nato a Termoli (CB), località turistica molisana che si affaccia sul Mar Adriatico, ed ho vissuto i miei primi anni a Campobasso, dove i miei genitori hanno deciso di farmi battezzare nella chiesa di San Leonardo in pieno centro, nel borgo antico. Spesso Campobasso è nei miei ricordi e devo ritornarci ogni volta che ci rechiamo in Molise, così come Portocannone, «Hora ime» in lingua albanese, il mio paese, luogo da cui proviene la mia devozione alla Madonna di Costantinopoli e paese in cui anche gli Oblati hanno predicato la missione nel 1996. Da casa dei miei genitori si vede quel mare che accompagna i miei ricordi ed il mio modo di essere «porto di mare», quando si tratta di stare e sostare con gli altri. Questo è il mio 10° anno da insegnante ed in questo periodo insegno Religione, presso il Liceo Scientifico Bruno Touschek di Grottaferrata.

La scuola è un importante luogo di missione, a contatto con tanti studenti e tanta gente.

La missione per me è avere la certezza di essere preceduto da Gesù, proprio come in quella scena evangelica sul lago di Galilea. Certamente questo mio essere preceduto corrisponde ad uno stile di vita, che va incontro all’altro provando a guardarlo con occhi nuovi, con la certezza che ogni giorno posso crescere nell’amore verso mia moglie Cinzia, le mie bimbe Chiara e Miriam, i miei familiari, i miei colleghi ed i miei alunni. Questa certezza è stata rafforzata da quel: «Que Dieu te devance», una sorta di saluto/preghiera di intercessione che un giovane senegalese mi rivolse una mattina di novembre, con il caldo rovente mentre camminavo in una strada insabbiata di Parcelles Assainies, quando mi recavo a scuola per tenere la lezione con gli alunni del CSPA a Dakar. Io ritengo che questi due momenti sono una sorta di grazia che mi accompagna e rende ancora di più spiazzante il mio essere in Cristo in tutte le sue dimensioni compreso il luogo di lavoro.

Come discepolo missionario, hai un sogno nel cassetto?

In questo momento della mia vita, il sogno missionario che custodisco è quello di far sperimentare agli altri che si possono creare spazi di condivisione, lì dove non pensi ci possano essere altre strade se non quelle della divisione e del «faccio da solo». Io frequento spesso i sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia e sono la linfa vitale del mio ripartire per poter accogliere il tempo presente ed appassionarmi alle cose che faccio, alle persone che incontro. L’esperienza di stage missionario in Senegal nel 2011, quando ero scolastico negli Oblati di Maria Immacolata, è stata la perla del Vangelo da cui attingere forza, per le scelte da fare come quella di riuscire a formarmi una famiglia ed affidare alla mia esperienza e a Gesù la mia vita, augurandomi ed augurare la pace del cuore a coloro che avrei incontrato sul mio cammino. Da qui è maturata la consapevolezza che non devo più chiedere agli altri come devono essere, in quanto percorriamo insieme un cammino di liberazione e di giudizio di un Dio che è Padre. Molto spesso spendiamo molte più energie nell’evidenziare problemi mentre potremmo rimboccarci le maniche per portare soluzioni, così ad esempio, a scuola ho accettato di fare il coordinatore di una classe quinta per accompagnarla anche agli esami di stato.

Un’ultima parola su come vivi la tua missione ogni giorno?

Per vivere la missione seguo alcune regole di sintesi, più precisamente mi ricordo delle lettere S come servizio alle mie comunità quotidiane che siano la famiglia, la scuola, la comunità dei laici oblati etc, A come accoglienza delle novità che può essere un nuovo collega, un nuovo amico od un nuovo progetto da portare avanti, come ad esempio il «Progetto Finestre – Incontri» sul dialogo interreligioso, ed F come fiducia, cioè quella breccia che segna un percorso di confronto con i miei prossimi. In questi ultimi anni mi stanno accompagnando spiritualmente due figure importanti della Chiesa, l’oblato Marcello Zago e papa Giovanni Paolo I, due cristiani che storicamente hanno fatto del dialogo un modello da seguire per rendere ragione della speranza e della gioia dell’incontro con Cristo. Buona missione a tutti.

A cura di Flavio Facchin omi