Vite che parlano: don Clemente Basilicata

Don Clemente Basilicata è un sacerdote che lavora a Santa Maria Capua a Vetere. Oltre ad essere parroco, opera anche nelle carceri della medesima città.

Don Clemente, nella tua ormai lunga esperienza di vita e di sacerdote, come vivi il tuo essere missionario? Cos’è per te la missione?

Dalla mia esperienza, che vivo oggi e da più di dieci anni come cappellano della casa Circondariale di Santa Maria Capua a Vetere, e dalla mia formazione, ritengo che la missione è il prolungamento dell’annuncio del Vangelo. Non importa il luogo, gli spazi, per me è importante raggiungere la persona, là dove essa vive, lotta e spera. L’importante è entrare nel cuore, per far sì che la persona senta o ritrovi la dignità di essere figlio di Dio.

Essere missionario per me significa avvicinarmi all’altro con il cuore di Gesù per farmi carico di ogni differenza, asciugando il volto rigato da molte lacrime, infondendo speranza e fiducia là dove c’è spazio solo per le tenebre.

Cosa ti piace di più della tua vita di missionario?

Il condividermi con i più poveri ogni giorno, vincendomi anche in quei momenti in cui vorrei evitare qualche volto che ai miei occhi posso ritenere «pesante». La mia esperienza quotidiana in carcere mi chiede di oltrepassare le sbarre dei pregiudizi e cercare in ogni detenuto il volto dei più poveri. Vi assicuro che ogni mattino varco quei cancelli in un modo e ne esco totalmente diverso perché mi imbatto nel dolore, soprattutto quello morale. E ringrazio nel mio cuore la Madonna che ha catapultato la mia vita per portarmi in quel luogo dove tutto grida l’Abbandono di Gesù.

E qual è il tuo sogno di missione?

Il mio sogno di missione è che l’amore di Cristo possa raggiungere ogni uomo. E che noi cristiani possiamo essere sempre più attenti ad ogni grido che arriva alle nostre orecchie rendendoci conto che ci arricchiamo nel momento in cui ci condividiamo con i più poveri.

Clemente, hai un messaggio che vorresti trasmettere ai lettori del nostro sito della Procura OMI?

Il mio messaggio è di ritenersi dei fortunati; inoltre, di vivere e di condividere la missione sporcandosi le mani per i più poveri dei poveri senza nessun compromesso.

Puoi dirci una parola chiave del tuo vivere la missione?

Sant’Eugenio, alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale scriveva: «dirupistivincula mea, et sacrificavo hostiamlaudis», ovvero «hai spezzato le mie catene e io ti offro il sacrificio della lode». Essere missionario vuol dire oggi per me: tutto è opera di Dio, e tutto va visto attraverso gli occhi del Crocifisso che mi insegna la sola Parola che mi sostiene in ogni istante: Mansuetudine.

Lui è l’Agnello mansueto e vuole che la mia missione passi attraverso il mio cuore nutrito di mansuetudine.

A cura di Flavio Facchin omi