Parole di Missione: Chiesa in uscita

Quando parliamo della Chiesa indichiamo i fedeli di tutto il mondo oppure una comunità locale come una parrocchia o un gruppo ecclesiale o ancora l’assemblea liturgica che prega e celebra il Signore. La Chiesa è formata dai battezzati, uomini e donne che si ritrovano per pregare e celebrare i sacramenti, che vivono della Parola di Dio e dell’Eucarestia, che si riconoscono come «famiglia di Dio», «tempio dello Spirito Santo», «tralci» della vera vite che è il Maestro. Il libro dell’Apocalisse definisce la Chiesa come «la Sposa» del Signore. Per il Concilio Vaticano II la Chiesa è il Popolo di Dio e «il Regno di Cristo già presente in mistero» (Lumen Gentium, 3). 

La Chiesa nasce con Gesù, l’inviato di Dio Padre: «La Chiesa è nata principalmente dal dono totale di Cristo per la nostra salvezza, anticipato nell’istituzione dell’Eucarestia e realizzato sulla Croce» (Catechismo Chiesa Cattolica, n. 766). Con il dono dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste la Chiesa viene inviata a tutte le genti per annunciare il Vangelo. La Chiesa, allora, è per sua natura missionaria, a immagine di Gesù che è il primo missionario. La vita della Chiesa dei primi cristiani viene descritta nel libro degli Atti degli Apostoli: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nella preghiera» (At 2, 42-44). «La moltitudine di quelli che avevano creduto era d’un solo cuore e di una sola anima… tutto era in comune tra di loro» (At 4, 32). 

I primi cristiani, pur con le loro fragilità, sentivano di essere nella santità di Dio non per la loro vita morale, ma perché con il battesimo la vita di Cristo si era innestata nella loro. Infatti, «in lui [Cristo] Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati nell’amore» (Lettera di San Paolo agli Efesini, 1, 4-5), tanto che lo stesso San Paolo poteva affermare: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Lettera ai Galati, 2, 20). E sulla vita in Cristo Benedetto XVI disse: «La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti…» (Benedetto XVI, Udienza del 13 aprile 2013). 

La Chiesa siamo noi. Quante volte in Camerun prima e in Senegal poi la gente mi ha evangelizzato quando sentivo queste parole: «Man sawar naa ci li ma nek kretien, sawar naa ci suma Jangu» (“Sono fiero di essere cristiano, sono fiero della mia Chiesa”). Ricordo un giovane insegnante che mi disse: «Man, maay Jangu bi» (“Io sono Chiesa”). «Io sono Chiesa» è incredibilmente bello, vero e impegnativo. Spesso ci aspettiamo chissà che cosa dalla Chiesa, talvolta la rinneghiamo, altre volte non riusciamo a offrire un’immagine bella della Chiesa che dovremmo essere. Spesso sentiamo affermazioni come «Cristo sì, la Chiesa no!». Invece, la Chiesa siamo noi, uomini e donne, battezzati, figli e figlie di Dio. «Io sono Chiesa, noi siamo la Chiesa».

La Chiesa esiste perché è missionaria. Con Papa Francesco l’espressione «Chiesa in uscita», diventata uno slogan, indica i «cuori ardenti e i piedi in cammino» della Maddalena, che il mattino di Pasqua corre ad annunciare al gruppo degli Apostoli che il Signore è risorto, e dei due discepoli di Emmaus, che la sera di quello stesso giorno tornano in fretta a Gerusalemme per portare la gioia d’aver incontrato il Cristo risorto. «La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano… La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze… assume la vita umana» (Evangelii Gaudium, 24). Chiesa in uscita vuol dire farsi vicini all’umanità, porre uno sguardo sugli uomini e le donne del nostro tempo, offrire parole e gesti di speranza: «Spargete la vostra gioia, continuate a dire che la speranza non ha confini» (David Maria Turoldo). 

Uscire per incontrare l’uomo richiede tempo, iniziativa, impegno, fatica. Eppure, questo è «essere missione»: uscire per «accorciare le distanze», per farsi vicini, per essere presenti in tutti i «mondi periferici». «L’Evangelii Gaudium insiste su questo aspetto: bisogna uscire e incontrare un mondo che non è più compreso tra i fedeli… La Chiesa ha la missione di uscire, di andare lontano da sé e di incontrare un mondo effettivamente lontano. In questo senso, Papa Francesco non ha inventato il tema delle «periferie», ma ha ripreso una questione di lungo periodo e l’ha posto al centro del dibattito della Chiesa. Le periferie interrogano la Chiesa: non basta segnare una presenza con nuovi edifici parrocchiali, ma è necessario inserirsi nei mondi periferici, nella loro vita e nella loro cultura» (Andrea Riccardi, Periferie – Crisi e novità per la Chiesa, Milano 2016, pp. 70-71).

Come Gesù, che continuamente si è messo in cammino (anche Lui… in uscita!), anche noi vogliamo essere una «Chiesa in uscita missionaria» «che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni» con l’annuncio e la testimonianza, una Chiesa che «si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario» (Evangelii Gaudium, 35). L’andare, l’uscire, il farsi incontro sono propri della natura della Chiesa. Il gruppo degli Apostoli fu inviato da Gesù con la forza dello Spirito; dopo di loro sono stati chiamati e inviati tanti altri uomini e donne, fino a noi oggi. Tutta la Bibbia è un incessante ripetersi di quell’«Alzati, parti, vai… esci dalla tua terra». Quando Dio chiama per farci discepoli missionari ci mette in movimento, ci fa partire, ci fa essere missione. Nei Salmi c’è una beatitudine che dice: «Beato l’uomo che ha sentieri nel cuore» (Salmo 84, 6), così che «il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E invita il nostro cristianesimo a non recriminare sul passato, ma ad iniziare percorsi… Il Vangelo ci mostra che l’essere discepoli comporta un progetto da cui si sprigiona la gioiosa fatica di aprire strade nuove» (Ermes Ronchi, 23 giugno 2019). 

Ciascuno di noi è un discepolo missionario in uscita. «Tutti siamo invitati a questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Bruno Forte, Chiesa in uscita, lettera pastorale per l’anno 2014-2015). La Chiesa è bella perché è formata da una grande varietà di persone e comunità, ognuna con le sue proprie ricchezze, ognuna con doni diversi. «A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo… Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri… allo scopo di edificare il corpo di Cristo» (Ef 4, 7.11-12). 

La «Chiesa in uscita missionaria» è fatta di uomini e donne capaci di farsi prossimi, di immergersi nelle vite, specialmente in quelle scartate o lontane, quelle povere o messe da parte. Uomini e donne capaci di donarsi gratuitamente, costruttori di rapporti fraterni, creatori di una cultura dell’incontro con l’umanità. Uomini e donne capaci di dire che vivere con il Signore è gioia, quella gioia da condividere perché fatta dalle meraviglie che Dio opera in noi e intorno a noi e per questo vanno raccontate. Uomini e donne che sono una presenza significativa in un mondo secolarizzato e indifferente. Uomini e donne «capaci, insomma, di abitare questo mondo, questa Chiesa e di essere «artigiani» di comunità missionarie e aperte, che percorrono i sentieri del nostro tempo. Capaci di riscoprire i tratti essenziali del nostro «essere Chiesa», di quella «Chiesa bella» capace di generare discepoli missionari e di essere sacramento di luce di  speranza per il mondo. Una Chiesa che abitata dalla gioia non dimentica l’amore che l’ha creata e, superando la tentazione dell’autoreferenzialità e della polarizzazione, è pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati; una Chiesa che è ricca di Gesù e povera di mezzi; una Chiesa che è libera e liberante» (Papa Francesco, Omelia dell’11 ottobre 2022).

La Chiesa è e sarà sempre una «Chiesa in uscita missionaria» perché non possiamo non condividere la gioia e la vita del Vangelo, non possiamo non testimoniare la speranza che c’è in noi. «L’incontro con Gesù Signore, il Cristo di Dio, è il dono immenso che la Chiesa è chiamata ad offrire al mondo, rendendolo possibile in ogni luogo e in ogni tempo, mediante l’annuncio della buona novella, la grazia offerta nella celebrazione dei sacramenti e la carità vissuta e partecipata a tutti… proclamare il Vangelo di Gesù Cristo e condividere con tutti la bellezza del suo amore è la vocazione e la missione di ogni cristiano» (Bruno Forte, Chiesa in uscita, lettera pastorale per l’anno 2014-2015). È impegno della Chiesa portare Dio a tutta l’umanità e portare tutta l’umanità a Dio, quella delle periferie geografiche come quella delle periferie esistenziali. È compito della Chiesa «abitare le periferie geografiche ed esistenziali» per donare loro il Tesoro che vive in ogni discepolo missionario e in ogni comunità. «Occorre, allora, una comunità accogliente, capace, aperta, che stima e che sostiene. Una comunità carica del dono che realmente risana queste nostre tristi ferite del male e dell’odio» (Giancarlo Maria Bregantini, in Avvenire dell’8 luglio 2013).

La Chiesa è missionaria, sempre in uscita: «… fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Evangelii Gaudium, 49). Non possiamo non uscire da noi stessi per incontrare le moltitudini affamate di Dio e di ciò che è vero, buono, bello. Non possiamo non essere discepoli missionari perché «la Chiesa si impegna a stare sempre lì dove maggiormente mancano la luce e la vita del Risorto» (Evangelii Gaudium, 30).

Flavio Facchin omi