Ed è di nuovo Natale. Il tempo sembra sfuggire di mano e mi accorgo quanto sono vere le parole di san Paolo quando afferma che il tempo si è fatto breve e bisogna sbrigarsi a fare il bene.
Natale è ormai alle porte e, anche se la temperatura qui alla periferia di Bangkok è di almeno 30 gradi e non ci sono né neve né abeti, l’atmosfera è quella di sempre piena di colori, di luci e di gioia. Natale è la festa della gioia per un mondo che la conosce poco, un mondo sempre indaffarato a rincorrere una felicità steriotipata ed evanescente. Un mondo che, spesso, questa felicità non la raggiunge mai. Nel mio peregrinare per la città incontro tanta gente, di tutte le categorie e mi accorgo come le logiche di questo mondo offrono pochi spazi. Mi accorgo quanto è vero quello che dice Papa Francesco quando afferma che la nostra cultura è la cultura dello scarto. Non è lo scarto di cose che non usiamo più ma è lo scarto, ben più drammatico, di persone che non riescono a stare al passo con le esigenze del nostro mondo; e sono tante!
Qualche tempo fa ho partecipato ad una cena di un club esclusivo; non so nemmeno io come sia finito a quei tavoli. Gente ricchissima: diplomatici, uomini d’affari che girano il mondo per offrire la loro consulenza, gente apprezzata e stimata che il suono del solo cognome mette in agitazione gli addetti della compagnia aerea che essi usano regolarmente. In una parola gente che da questo mondo hanno ricevuto il meglio, forse tutto. Verso le undici di sera, dopo il discorso di ringraziamento agli ospiti, riprendo l’ascensore e scendo dal 36esimo piano dell’albergo, fatico a ritrovare l’auto nell’immenso parcheggio, mi dirigo verso casa attraversando la città. Entro nei vicoli, nelle stradine affollate che mi riconducono in parrocchia e vedo luci accese negli scantinati dei grandi palazzoni, non sono le luci della festa, sono le lampade che rischiarno le ultime ore di lavoro di tanta gente che dalla vita non si attende più nulla, gente che vive giorno per giorno, gente che spera di non ammalarsi per non spendere i risparmi di una vita. È quasi mezzanotte quando imbocco il vicolo che mi porta a casa, nei palazzi che stringono la stradina ci sono ancora tante luci accese, l’indomani alle cinque queste persone si dovranno alzare, come tutti i giorni, riprendere l’autobus per essere al lavoro alle otto e ritornare la sera solo per andare a letto. Il salario sarà appena sufficiente per arrivare a fine mese.
Ora, quando leggo i Vangeli del Natale, mi sembra di capirli meglio. Che futuro avrebbe mai potuto avere un bambino nato in una mangiatoia di questo mondo. Che futuro potranno avere quella decina di ragazzine Hmong che studiano un po’ di inglese alla parrocchia, il sabato. Sono figlie di rifugiati scappati dal Vietnam che lavorano saltuariamente. Hanno un bel sorriso luminoso, sembrano sorelle. Vivono in un palazzo, insieme, per non spendere troppo, ma hanno affittato una piccola stanza per la preghiera. Ogni domenica usano una sala della parrocchia per il “servizio” e lo studio della Parola, sono protestanti. Arrivano in massa, la domenica pomeriggio, hanno un sacco di fratellini e sorelline e con i loro genitori riempiono presto la sala. È una festa di voci: è il presepe della vita. Li sento cantare mentre insegno catechismo e mi dico che quel bambino nato in una stalla è la loro speranza. Per il nostro mondo sono solo dei fuggitivi, gente senza un posto dove posare il capo, direbbe qualcuno, gente che non ha l’opportunità di mostrare i talenti di cui è dotata, gente che la nostra società emargina o usa come salariati a basso prezzo, gente i cui nomi, difficili da pronunciare, non ricorderà nessuno, ma per Cristo sono i più amati. Forse loro lo percepiscono perchè la gioia, la semplicità che traspare dai loro atteggiamenti è chiaramente riconoscibile. Non temono il futuro, ma vanno avanti con fiducia, insieme.
Il messaggio del Natale è davvero straordinario: Dio è con te, ti accompagna ad ogni passo della tua vita, è presente in ogni situazione della tua esistenza e in ogni momento puoi scorgere il suo volto. Forse ha ragione il Papa quando dice che il problema del nostro mondo è un problema spirituale; piano piano il nostro cuore diventa un mare vuoto; non crediamo più a nulla; ci interessano solo oggetti effimeri, crediamo di essere il centro del mondo, perdiamo la speranza, non riusciamo a vedere oltre l’orizzonte stretto della nostro esistenza.
Mi stupisce sempre la reazione dell’uomo di fronte alla privazione. Da anni, come forse sapete, visito una prigione una volta la settimana, incontro le persone, faccio quattro chiacchiere con loro e cerco di provvedere alle piccole cose di cui hanno bisogno. Loro non chiedono molto, ma ciò a cui non sembrano poter rinunciare è la Parola di Dio; mi chiedono sempre di portare loro una Bibbia. Che strano, mi dicevo i primi tempi, forse un libro un po’ più leggero li distrarrebbe di più, poi però ho scoperto che non hanno bisogno di distrazioni, quelle sono già a buon mercato, ma di speranza e solo quelle parole difficili da capire e ancor più da vivere, che noi crediamo pronunciate da Dio stesso, sono loro di grande sollievo, alimentano la speranza per andare avanti, per resistere. Mi vengono in mente le parole di Maria “Sono la serva del Signore si compia in la TUA PAROLA”. E la fede in quella Parola ha portato nel mondo Gesù, un nome che significa grazia e salvezza di Dio… per tutti.
Carissimi amici, che avete a cuore la mia missione, che la gioia di Maria e di Giuseppe, povera gente senza nemmeno una stanza per il loro figlio, splenda nelle vostre famiglie e questa luce possa riempire il cuore delle tante persone che non credono più a nulla.
Buon Natale
p. Domenico Rodighiero omi