Nel lungo discorso d’addio nel Vangelo di Giovanni Gesù dice ai suoi: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici» (Gv 15, 12-14). Quando da ragazzo lessi queste parole rimasi molto colpito, perché consideravo l’amicizia un valore fondamentale della mia vita.
L’amicizia di Gesù con i suoi discepoli era fatta di attenzioni, fiducia, sincerità, fedeltà ed ebbe momenti importanti, belli, talvolta anche difficili. L’amicizia di Gesù fu così grande da trasformarsi in dono totale di sé, fino al dono della vita.
In questo discorso d’addio ci si aspetterebbe che Gesù dicesse ai suoi apostoli, e attraverso di loro a ciascuno di noi, qualcosa di speciale perché quelle furono le ultime parole che lasciò, come un testamento. Ci saremmo aspettati: «Vi porto per sempre con me» oppure «Vi ho amato e vi amerò per sempre»; invece Gesù chiamò gli apostoli “amici”. Con loro anche tutti noi siamo chiamati amici. Siamo amici del Signore. L’amicizia è un bene più prezioso della fraternità perché porta in sé un’intensità di relazione e di amore che nella fraternità possiamo non trovare. Nell’amicizia ci si fida e ci si affida reciprocamente, ci si lascia toccare più intimamente di quanto la fraternità permetta e domandi.
Noi, discepoli missionari, dobbiamo allora prendere sul serio il valore dell’amicizia se vogliamo comprendere l’eredità e la missione che Gesù ci affida. L’amicizia non si può racchiudere in alcuna delle categorie dell’amore (l’amore dei fratelli di sangue e l’amore della famiglia, l’amore degli innamorati e quello delle coppie) perché sta nel cuore di tutti gli amori dell’umanità.
«Ho perso mio marito, ho perso il mio migliore amico», mi confidava l’anno scorso un’amica, affermando che anche l’amore fra gli sposi ha nel rapporto di amicizia nuziale una sua bellezza e una sua forza. L’amicizia con il Signore è la nostra vocazione di discepoli. Papa Francesco incoraggiò i partecipanti al “Meeting dell’amicizia dei popoli” di Rimini del 2023 affinché non venisse mai meno “un’amicizia inesauribile”, un’amicizia fondata su Cristo e la sua Parola, per cogliere il bene in ogni persona (perché ogni cultura ha «riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita») e per far crescere le relazioni di amicizia fra gli uomini e fra i popoli. L’amicizia è il sentimento più nobile di cui il cuore umano sia capace ed è importante custodirla, alimentarla e condividerla. «L’amicizia è una sorta di fraternità d’elezione. Gli amici sono sorelle e fratelli per la vita; presenze di ogni momento; baluardi discreti ma irremovibili; fari che proiettano i loro segnali a distanza, compagni di viaggio, anche quando non sono fisicamente al nostro fianco… l’amicizia dialoga con cose molto profonde che sono dentro di noi… gli amici, anche quelli che hanno la felicità di incontrarsi quotidianamente, sanno di essere linee parallele destinate a incontrarsi nell’infinito» (José Tolentino Mendonça, Amicizia – Un incontro che riempie la vita, pp. 28. 30).
«Vi chiamo amici». Questo è il modo con cui Gesù si è relazionato con i suoi discepoli: li considerava amici, li ha trattati da amici, li ha nutriti della sua amicizia e ha insegnato loro a diventare amici e a vivere nell’amicizia. Questo ci dice che più che avere amici è importante “farci amici”, “essere amici”. Un monaco anglosassone del XII secolo diceva che «l’amicizia è la gloria di chi è ricco, la patria di chi è in esilio, la ricchezza di chi è povero, la medicina di chi è malato, la vita di chi è morto, la grazia di chi è sano, la forza di chi è debole, il premio di chi è forte» (Aelredo di Rievaulx, L’amicizia spirituale, II, 14). L’amicizia è un’esperienza così bella e importante che neanche Dio ha voluto farne a meno. Dio era amico di Abramo, era amico degli uomini. Anche Gesù ha sperimentato l’amicizia ed è un aspetto di cui si parla poco, quasi creasse problema al suo essere Figlio di Dio.
Amicizia con Dio. Nell’amicizia con Dio viviamo lo stare a tu per tu con la ragione e il tesoro della nostra vita. Come discepoli missionari siamo nel suo Amore, viviamo del suo Amore e attingiamo forza alle sorgenti del suo amore. Nella chiamata a essere suoi amici Gesù ci invita a stare con Lui, a parlare con Lui, a camminare insieme, a condividere le nostre speranze, le nostre attese, anche i nostri momenti di sconforto. Per noi discepoli l’amicizia con Dio è la relazione più importante della nostra vita e ci apre agli orizzonti dell’altro. Siamo creati per gli altri, per la società, per la comunità. Diventando missionario desideravo condividere la mia fede e la certezza che «non c’è amore più grande di questo: dare la vita per gli amici». In Gesù diventiamo amici di ogni uomo e di ogni donna. Gesù ci rende amici: nella nostra amicizia con Dio siamo amici fra di noi. Forse questo è il modo più semplice per esprimere l’essenza di Dio Trinità: relazione di amicizia, amore gratuito tra persone. Un’amicizia che mi rivela che anch’io sono fatto per amare ed essere amato.
Abbiamo visto che il Vangelo dedica all’amicizia una delle sue pagine più belle. Nel racconto dell’Ultima Cena del Vangelo di Giovanni c’è il discorso di Gesù ai suoi discepoli prima della festa di Pasqua, prima dei giorni di morte e resurrezione. Non è una cena qualsiasi: è l’ultima volta che Gesù si riunisce con i suoi e ha cose molto importanti da dire, quelle che rivelano il senso della sua missione e che consegna loro come un dono prezioso. In questo dono e testamento c’è l’amicizia! Quando, dopo sei anni di vita missionaria in Camerun, stavo lasciando la missione di Fonjumetaw per trasferirmi in Senegal, durante gli ultimi incontri con i gruppi dei giovani volevo manifestare loro i sentimenti più profondi che provavo nei loro riguardi, anche quell’amore che c’era tra di noi; e dicevo: «Mbɔŋ shú a mé mbo ŋwó a na ngɔŋ zé», cioè «Un buon amico è un tesoro per sempre». E ancora: «Kɔŋghɔ́ a Ndém mbiŋ njiʼlě á lénaŋ baʼ nkɨ gi échwi bup», ovvero «Amate Dio e cercate di essere un Vangelo visibile per tutti». In quel momento era ciò che più mi stava a cuore.
Mi piace pensare che quando Gesù dice «Fate questo in memoria di me» non si riferisca solo al memoriale dell’Eucarestia, ma ci inviti anche a vivere nell’amicizia con un «amore fino alla fine, nell’amare e nel servire, nel costruire relazioni e nella fraternità… con tutti».
«Vi chiamo amici»: l’amicizia è la relazione che mette in circolo quest’amore. Come discepoli siamo chiamati ad amarci gli uni gli altri a partire dalla nostra amicizia con Gesù e in Gesù. Teniamo presente che fra gli amici di Gesù ci sono anche Giuda (che lo tradisce), Pietro (che lo rinnega) e quelli che lo lasceranno solo sulla croce. E Gesù li chiama amici! Quando lo vedranno elevato da terra sulla croce, quando scopriranno il suo amore senza fine, crederanno davvero all’amore immenso di Dio.
Amicizia nella Chiesa. Mi sembra che l’amicizia sia fra le realtà più importanti nella vita della Chiesa, ma anche quella di cui si parla di meno. Sono convinto, e l’ho affermato tante volte, che la missione della Chiesa sia fatta di annuncio, testimonianza, incontri, relazioni, presenza nelle periferie geografiche ed esistenziali e – perché no? – di amicizia! D’accordo: le amicizie vere e profonde sono poche, però a ogni uomo e a ogni donna possiamo offrire un briciolo di amicizia evangelica (potremmo chiamarla “amicizia sociale” come fa Papa Francesco?). Senza dubbio l’amicizia, come l’amore o la misericordia, sono realtà già presenti nei cuori di tante persone non credenti o di altre fedi. Cosa aggiunge la missione della Chiesa all’amicizia, a quell’insieme di relazioni e di presenze che in fin dei conti sono già presenti tra gli uomini senza dover scomodare il Dio di Gesù? Nell’enciclica Fratelli Tutti Papa Francesco dichiara di essere stato stimolato nella riflessione sulla fraternità non solo da San Francesco d’Assisi, ma anche da persone come Martin Luther King, Desmond Tutu, Gandhi e altri. Inoltre è stato ispirato da un uomo che «a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld» (Fratelli Tutti, 286). Fratel Charles è l’icona della fraternità universale e dell’amicizia. Per lui essere missionari voleva dire “essere amico e fratello universale” attraverso relazioni di semplice amicizia con tutti coloro che il Signore gli poneva accanto, in particolare i Tuareg. Lo faceva attraverso l’ascolto delle loro vite e in una totale fedeltà alla loro amicizia. Da qui il suo impegno a studiare la loro lingua, la loro cultura e la loro fede: semplicemente per vivere con loro ed essere presenza del Dio di Gesù Cristo, pur senza proclamarlo. Se glielo avessero chiesto, avrebbe parlato loro del suo Signore. «Essere missionario per fratel Charles voleva dire essere “amico e fratello universale”, non astrattamente, ma attraverso concreti rapporti di amicizia con tutti. In definitiva, amare tutti iniziando da qualcuno, gli ultimi, che, per “il piccolo fratello di Gesù”, erano i Tuareg» (Mario Menin). In altre parole, fratel Charles cercava di “essere missione” creando legami con la gente del posto, facendosi uno di loro, cercando di essere un “Vangelo aperto e visibile” con la propria vita. Cercava di essere missione stando con la gente e tessendo relazioni di vita. Come Charles de Foucauld, così anche noi siamo chiamati a vivere l’amicizia con Gesù per portare un pezzo di cielo sulla terra.
L’amicizia può anche essere un metodo per la missione. A tal proposito propongo una riflessione apparsa su Aleteia, un portale cattolico online di notizie e informazioni. «Ciò che, infatti, desidero comunicare andando in missione è che Dio è mio amico. Di più. Che Dio è in sé amicizia. Questo è il modo più semplice e concreto di intendere il significato della Trinità: amicizia, ovvero un amore assolutamente gratuito tra persone. Un amore che si rivela nella persona di Gesù, che muore e risorge per me e in questo modo mi salva e mi rivela che anch’io mi realizzo nell’esperienza di un amore simile. Mi rivela che anch’io sono fatto per amare ed essere amato così». E ancora: “… amicizia è ciò che ci rende familiari i colori di un tramonto, il rumore di una cascata, la carezza gentile della brezza di primavera. La realtà ci è amica, ci corrisponde perché ha la nostra medesima origine. La missione è annunciare questa positività ultima della realtà, che ci rende amico chiunque incontriamo a qualsiasi latitudine si trovi… l’amicizia indica anche il metodo della missione. Non serve “sublimità di parola o di sapienza” (1 Cor 2, 1), ma la condivisione gratuita della vita dell’altro fino a essere disposti a dare la vita per lui. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Il vertice dell’amore, dice Gesù, è l’amicizia intesa come dono gratuito e totale di sé. Nei posti in cui siamo mandati il bisogno più grande che troviamo nelle persone che incontriamo è che qualcuno condivida la loro vita, a cominciare da ciò che è importante per ciascuno di loro». E infine: «La missione è innanzitutto affermare che tutto dell’altro mi interessa, che tutto di lui vale la pena di essere abbracciato e conosciuto perché tutto di noi è stato accolto e amato da colui che ci è più intimamente Amico. La missione è ridestare l’altro a cercare la sua verità, quella corrispondenza con la realtà che lo costituisce nel profondo… E questa è per noi la missione» (Fraternità San Carlo Borromeo, in Aleteia 06/09/14 – https://it.aleteia.org/2014/09/06/lamicizia-metodo-della-missione).
Sì, essere missione vuol dire che l’altro mi interessa, che l’altro merita la mia attenzione, che vale la pena abbracciarlo così com’è. E la nostra amicizia con Dio è un’esperienza di amicizia che ci trasforma e che trasforma chi vive accanto a noi.
Betania, casa dell’amicizia. Gesù di tanto in tanto sostava in un villaggio di nome Betania, poco lontano da Gerusalemme, presso tre fratelli: Marta, Maria e Lazzaro. Questa casa era come un rifugio dove Gesù si ritrovava con amici cari; un luogo di incontro e di preghiera. Una casa dell’amicizia dove si viveva il Vangelo dell’amicizia. Un santuario dove vivere la bellezza dell’ospitalità e il piacere della condivisione e dell’amore fraterno. Questi tre fratelli mettevano a disposizione una dimora dove Gesù poteva trascorrere momenti di serenità. Marta e Maria offrono due volti dell’ospitalità: Marta lo fa con la sua premura e le con sue attenzioni, Maria con l’ascolto. Modi diversi di vivere l’amicizia, di seguire Gesù, di amarlo. Marta è anche colei che si lascia stupire da ciò che Gesù opera. È la donna, infatti, che alle parole di Gesù «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» risponde sicura: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (Gv 11, 25-27). Maria, da parte sua, c’insegna che l’amicizia è saper stare con Gesù, donando il proprio tempo e ascoltando la sua Parola. Il primo servizio a Dio è la capacità e l’umiltà di mettersi al suo ascolto per poi essere inviati a donare la Parola custodita nel proprio cuore. «Marta non poteva fare a meno di Maria, perché il suo servizio aveva un’unica sorgente che faceva grande il cuore. Maria non poteva fare a meno di Marta perché non c’era amore di Dio che non doveva tradursi in gesti concreti. L’amica e l’ancella erano due modi d’amare, entrambi necessari, i due poli di un unico comandamento: “Amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo prossimo”. Un’unica beatitudine contava: “Beati quelli che ascoltano la Parola, beati quelli che la mettono in pratica”» (Frederic Manns, “Nella casa dell’amicizia”, L’Osservatore Romano del 10 luglio 2021). Marta e Maria, entrambe discepole, entrambe missionarie.
Amicizia sociale. L’enciclica Fratelli Tutti afferma che la fraternità e “l’amicizia sociale” sono necessarie per curare un mondo malato, per «sognare e pensare un’altra umanità». Il termine “amicizia sociale” è bello perché supera quello di “servizi sociali”. L’amicizia sociale invita alla reciprocità, al farsi prossimo, al saper riconoscere il volto del fratello, ad ascoltare e a dialogare vivendo e camminando accanto al prossimo. L’amicizia sociale è proposta «per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni» (Fratelli Tutti, 154). Cos’è l’amicizia sociale? È «l’amore che si estende al di là delle frontiere» (Fratelli Tutti, 99) e che ha come finalità il dialogo con tutte le persone di buona volontà, si fa carico delle loro istanze e cerca il bene di tutti e di ciascuno, in particolare perché ogni uomo ha diritto a uno sguardo d’amore in quanto «prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti» (Fratelli Tutti, 94). Illusione? Forse… però possiamo provarci. «Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità. Infatti, un individuo può aiutare una persona bisognosa ma, quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, della carità politica”. Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale» (Fratelli Tutti, 180). L’amicizia sociale ci fa operare insieme per il bene di tutti, nessuno escluso. Ci impegna a riconoscere il volto dell’uomo che incontriamo così come egli è. Ci impegna a creare relazioni capaci di generare reciprocità. Ci impegna a relazionarci e incontrarci non uno di fronte all’altro, ma uno accanto all’altro, perché ciascuno di noi è dono e può offrire qualcosa di bello e importante alla società e alla Chiesa. L’amicizia sociale può essere una risposta alla crisi di un mondo individualista e solitario.
Maria, una donna per amica. Come discepoli missionari ci dobbiamo impegnare a custodire l’amicizia con Gesù, poi sarà Lui a inviarci sui sentieri della missione. Maria, la Madre di Gesù e Madre nostra, è stata amica di Dio fin dai primi istanti della sua vita; col suo “sì” confermò la sua amicizia con Dio. La sua è una storia di amicizia con Dio e con gli uomini. L’amicizia di Maria è con la Trinità (figlia del Padre, docile allo Spirito, madre di Gesù). Ritroviamo l’amicizia di Maria con l’angelo Gabriele, con Giuseppe, con Elisabetta, con il gruppo degli apostoli, col gruppo delle donne e degli uomini che seguivano Gesù. A Cana di Galilea, nella prima manifestazione pubblica di Gesù, Maria ha le attenzioni e la sensibilità che si hanno per gli amici. In Maria vediamo le note tipiche dell’amicizia: attenzione, condivisione, conforto, aiuto, ascolto, incoraggiamento.
Maria era un’amica discreta e silenziosa che «conservava nel suo cuore» le persone e gli eventi di cui era testimone, fino ai piedi della croce e al mattino della Resurrezione.
Maria è donna dell’amicizia. Maria è la vera amica cui ogni discepolo si rivolge e Lei, vedendo le nostre necessità, accorre in nostro aiuto. Maria è quel piano inclinato che c’invita a stare con Gesù per aprirci agli orizzonti dell’amicizia con Dio e con l’umanità. «Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio» (Benedetto XVI, Udienza Generale del 30 novembre 2011).
Concludo con un’antica benedizione irlandese, una sorta di patto di amicizia: «Possa il cammino venirti incontro. Possa il vento soffiare sempre alle tue spalle. Possa il sole brillare sul tuo volto e cada dolcemente la pioggia sui tuoi campi. Fino al nostro prossimo incontro, Dio ti conservi sul palmo delle sue mani».
Flavio Facchin omi